“Codice etico”, questo sconosciuto
(pubblicato sul numero 20 di “Ti scrivo”)
“A muso duro contro il razzismo”, è l’oggetto di una delle numerose circolari che il Presidente Francesco Rocca ha diffuso per arginare la deriva xenofoba che, soprattutto sui social, sta contagiando anche qualche nostro volontario. Vale la pena ricordare a tutti noi che il “Codice etico”, sottoscritto per far parte dell’Associazione, vieta ogni forma di discriminazione o di apologia di reato
“Nessun essere umano è illegale”, Rocca l’ha gridato forte e chiaro dal palco di Solferino indossando, come tanti altri volontari, la t-shirt che riporta lo slogan simbolo della campagna della Croce rossa italiana contro la xenofobia. Ne consegue che il volontario che, anche con legittime argomentazioni, consideri illegale un qualsivoglia essere umano, si pone automaticamente al di fuori dall’Associazione. Il richiamo all’Umanità che ci mette al servizio della gente e non dei sistemi, e all’Imparzialità che ci porta a soccorrere non solo la vittima ma anche l’aggressore, si è reso necessario per lanciare un forte messaggio contro la decadenza morale che caratterizza questi tempi, ma anche per mettere in guardia tutti quei volontari che, soprattutto sui social, si lasciano contaminare da derive xenofobe.
Lo strumento per richiamare gli autori di comportamenti scorretti, ed eventualmente isolare i recidivi, ha un nome ben preciso, si chiama “Codice etico”. Sono quelle quindici paginette che ogni vecchio volontario è stato chiamato a leggere, condividere e sottoscrivere per poter continuare a far parte dell’Associazione. Sono quelle quindici paginette che ogni nuovo volontario deve fare proprie perché contengono le norme che devono regolare i nostri comportamenti dentro e fuori dalla Croce rossa. Sì, perché volontari di Croce rossa lo si è sempre, con o senza divisa, e l’appartenenza ci impone di agire secondo i Principi fondamentali e prestare costantemente attenzione ai bisogni delle persone, “anche quando non si è in servizio attivo o non si indossa la divisa”. La Croce rossa, insomma, impone ai suoi soci (ma è una imposizione che ci siamo scelta) “coerenza morale e rispetto dei valori della persona all’interno e all’esterno dell’Associazione”.
Il Codice etico abbraccia una vasta serie di norme comportamentali, ma negli ultimi anni il documento è stato più volte richiamato, in particolare dal Presidente Rocca, in riferimento al crescente decadimento morale che ha colpito la nostra società, e quindi anche molti nostri volontari, facendo emergere i disvalori dell’egoismo e dell’insensibilità di fronte ai drammi umani. E così, quattro anni fa, quando il virus della xenofobia aveva già incominciato a infettare alcuni nostri colleghi, Rocca si è sentito in dovere di richiamare l’attenzione dei Presidenti ai vari livelli contro la pericolosa deriva. Inequivocabile l’oggetto della circolare: “A muso duro contro il razzismo”.
“Desidero rammentare, ove mai ve ne fosse la necessità – scrive Rocca nella circolare n. 69576 del 13/10/2014 – che la Cri agisce in ogni luogo e in ogni tempo alla luce dei sette Principi fondamentali, ivi compresi quello di Umanità e quello di Imparzialità che comprende la nozione di non discriminazione”
“Invito tutti a un’attentissima vigilanza sul comportamento dei volontari – prosegue Rocca – sanzionando ogni tipo di atteggiamento discriminatorio o razzista, diretto o solo allusivo, ivi comprese le espressioni sui social network, nei confronti di terzi e in particolare dei vulnerabili assistiti dalla Cri”.
Il moltiplicarsi di comportamenti scorretti, soprattutto con odiosi post o like sui social network, spinge Rocca a tornare sull’argomento, facendo la voce ancora più grossa, con una circolare datata 2017 dove chiarisce “in maniera ferma e definitiva che la qualità di Socio della Croce rossa italiana è incompatibile con l’utilizzo di espressioni razziste o xenofobe o, comunque, con la diffusione di contenuti che incitano all’odio o che costituiscono apologia di reato”.
“Comportamenti sanzionabili – precisa Rocca – anche nel caso in cui sui social network il socio non utilizza la propria fotografia o immagini che richiamano l’appartenenza all’associazione”. (gip)