Uguale a me
(pubblicato sul numero diciotto di “Ti scrivo”)
Siamo giunti all’ultimo appuntamento con i principi della Croce rossa, dedicato all’universalità. L’associazione è diventata realtà come argine per gli orrori delle guerre, delle torture e delle devastazioni causate dalle calamità naturali. In questo contesto, la sofferenza degli esseri umani è universale, e così deve esserlo la risposta umanitaria.
Anche le Convenzioni di Ginevra, create insieme alla Croce rossa internazionale e ispirate dalle idee del suo fondatore, trascendono le peculiarità nazionali e le differenze ideologiche. Il fatto stesso che gran parte degli stati nazionali le abbiano firmate dimostra questa peculiarità. Oltre a essere una regola, quindi, l’universalità è diventata anche una conseguenza virtuosa dell’esistenza dell’associazione stessa e delle idee di cui è portatrice, permettendo alla popolazione del mondo, per la prima volta nella storia, di condividere una serie di principi volti a limitare la sofferenza umana.
Ulteriore fattore che ha permesso alla Croce rossa di diventare universale è la semplicità del messaggio che vuole condividere. Da una parte, questo aspetto ha favorito la pace e il dialogo in situazioni di conflitto; dall’altro lato, ha permesso alle istituzioni di accettare i principi anche in nazioni e comunità con culture e regole molto differenti tra loro, diffondendo nel mondo il lavoro di Henry Dunant e rendendolo efficace, robusto e ancora attuale dopo più di 150 anni di attività. (apa)
Ci sono delle persone con cui basta uno sguardo. Persone che nell’istante stesso in cui le vedi, immediatamente sai che in un certo senso già fanno parte di te.
È quello che Raphael in questo momento rappresenta per Marco. È ancora in coda per il visto, davanti a lui una cinquantina di persone che scompaiono nell’istante stesso in cui il suo sguardo si posa sul ragazzo moro al varco 3. Ancora non sa nemmeno come si chiama, ma non gli serve conoscerlo per sapere che in comune hanno tantissimo. Probabilmente li legano più cose di quelle che lo legavano a Sara, la sua ragazza. O meglio, quella che era la sua ragazza fino a un paio di giorni fa, ovvero fino al momento in cui Marco le ha detto che la sua domanda era stata accettata e che sarebbe partito davvero. Lei l’ha lasciato all’istante: per Marco in realtà non è stato poi tutto questo shock, ripensandoci probabilmente se lo sarebbe dovuto aspettare. Sara non ha mai capito l’entusiasmo ed il trasporto di Marco per la sua attività extra-lavorativa, lasciamo proprio perdere condividerli!
La fila procede di un paio di passi: Marco torna a puntare lo sguardo sul ragazzo, al momento è in ginocchio e sta parlando con un bambino. Il piccolo sembra interessato allo strumento che ha in mano: Marco li guarda mentre il ragazzo aiuta il bimbo a impugnare il termometro frontale e a puntarlo verso la donna che lo accompagna, probabilmente la madre. Pochi secondi, quattro parole in tutto, poi il ragazzo si rialza e compila due fogli, che consegna alla donna. Madre e figlio si allontanano, e da come saltella il bimbo sembra molto felice: dopo qualche passo si gira e saluta con la mano il ragazzo al controllo. Il ragazzo si perde per un attimo a ricambiare il saluto: un uomo subito dietro Marco sbuffa ed esclama in inglese «Già è lento, cosa diavolo sta facendo adesso?» Marco si gira e non riesce a mordersi la lingua: «Il suo lavoro. E lo fa anche per la sua sicurezza!». Il signore sbuffa e si rivolge sotto voce ad un uomo che è con lui. Marco chiude gli occhi per un secondo, fa un respiro profondo e torna a guardare la fila davanti a sé. Avanza di un altro paio di passi e ormai pochi metri lo separano dal varco: estrae dallo zaino una copia cartacea della mail con le indicazioni che deve seguire ora: il punto medico a cui si deve presentare è situato in una zona ad accesso interdetto dell’aeroporto, probabilmente dovrà farsi accompagnare da un poliziotto. Avanza di un altro paio di passi e ormai davanti a lui ci sono solo tre persone. I varchi aperti sono due: il numero 3 e il numero 4. Il primo che si libera è quest’ultimo e le tre persone davanti a Marco si avviano tutte insieme: un gruppo. La donna al varco 3 passa dal metal detector al controllo sanitario e il poliziotto fa cenno a Marco di avanzare. Lui si toglie la felpa, la appoggia nel cassetto insieme allo zaino e stacca la busta con il passaporto dal laccio che ha intorno al collo. Passa dal metal detector senza problemi e quando riprende le sue cose il ragazzo moro lo sta osservando. Nota il laccio della Croce rossa italiana e sorride: «Croce rossa italiana?» chiede in francese? Marco sorride e allunga una mano «Sì, sono Marco.» risponde in inglese «Perdonami, ma non parlo francese…» abbozza poi in francese «Io sono Raphael. E purtroppo non parlo bene inglese.» ribatte il ragazzo moro in un inglese stentato.
Sono passate due settimane dal suo arrivo e Marco non riesce a capacitarsi del fatto che ne manchino solo due alla data del suo rientro in Italia. È seduto al suo solito posto subito oltre un metal detector e sta preparando tutti i moduli in modo da essere pronto quando il prossimo aereo atterrerà. Accanto a lui, davanti ad un altro metal detector, c’è Raphael, che sta facendo la stessa identica cosa. Le due file sono chiaramente divise in funzione della lingua che Marco e Raphael utilizzeranno per l’intervista ai viaggiatori, ma i due sanno che nel momento in cui i primi viaggiatori arriveranno nessuno da una certa distanza potrà mai notare una differenza tra di loro. Perché anche se hanno ancora qualche difficoltà a comunicare tra di loro, Marco e Raphael sanno perfettamente cosa devono fare, come lo devono fare e, cosa ancora più importante, perché lo stanno facendo. (sc)