Youth on the run: storia di un partecipante
(pubblicato sul numero diciotto di “Ti scrivo”)
Vi siete mai chiesti come sia la vita di una persona che scappa dal suo paese d’origine? Che emozioni provi? Quali siano le sue paure? Quali invece le sue speranze? Youth on the run è la terapia d’urto migliore per cambiare mentalità
“Riprendiamo l’approfondimento sul gioco Youth on the Run, iniziato nel numero 16. Abbiamo intervistato Ivan Trapin, volontario del Comitato Alto Adige, che da diversi anni collabora alla realizzazione di questo gioco di ruolo tanto in Italia quanto fuori dal territorio nazionale. Con il suo aiuto abbiamo ripercorso alcuni dei momenti salienti di un gioco che è tutto fuorché convenzionale.
Youth on the Run in poche parole…
Youth on the Run per cambiare mentalità in merito a un fenomeno sconosciuto, strumentalizzato e fonte di odio.
È mai capitato che un partecipante abbia rivisto la propria posizione sul tema al termine del gioco?
Assolutamente sì, è capitato nella maggioranza dei casi! Spesso questo “cambiamento” non avviene subito. C’è chi riesce nell’immediato a metabolizzare comprendendo la realtà dei fatti, chi invece se ne torna a casa in preda al disorientamento totale, assorbendo lo “shock” dell’esperienza con il tempo, riuscendo anche a comprendere il senso e il messaggio. Sono pochi i partecipanti che non riescono a seguire il senso dell’esperienza, non innescando un cambiamento. Ma la causa di ciò risiede nell’incapacità di immedesimarsi, nell’atteggiamento sbagliato verso l’attività. Un’immedesimazione corretta è la chiave per poter giocare al 100% e, quando notiamo che ciò non accade, noi istruttori ce ne assumiamo la responsabilità, imparando, crescendo e cambiando approccio.
Qual è stato il momento più emotivamente intenso affrontato da game leader?
Il momento più intenso è sempre “l’arrivederci”! Ora non posso spiegare nel dettaglio come accade, ma posso dire che per alcuni il gioco di ruolo non finisce al termine delle 24 ore. E accompagnarli nel proseguo del percorso, seppur breve, è un’esperienza che, caricata ulteriormente dalla stanchezza, fa riflettere.
Poi certamente ci sono altri piccoli momenti, come il feedback emozionale del partecipante che si è immedesimato completamente. Piange, tu non puoi fare nulla perché il ruolo che ricopri, il personaggio che interpreti, è ben preciso. Quelle emozioni, in mezzo all’indifferenza degli istruttori in gioco, sono il vero cambiamento, sono quelle di chi si cala davvero nel ruolo di migrante, vestendone veramente i panni.
Raccontaci una storia/momento che ti ha colpito particolarmente.
Il partecipante era straniero. A un certo punto si è fermato e, con gli occhi lucidi, ci ha detto “Non ce la faccio più”. Non era stanchezza, non era sfinimento. Era la rievocazione di un ricordo unico e indelebile che, seppur terribile, non verrà mai dimenticato.
Quale impatto a lungo termine ha lasciato un gioco del genere nelle persone?
Ho visto persone colme di pregiudizi, pilotati dalla non informazione, ricche di un odio che non comprendevano, cambiare totalmente modo di vedere il mondo. L’impatto più grande però noi istruttori e game leader non lo vediamo mai. Quando i partecipanti torneranno a casa, faranno riflettere i propri cari e gli amici. Allora lì avremo veramente raggiunto il nostro obiettivo.
Infine, se dovessi consigliare il gioco a qualcuno: chi è il partecipante ideale e perché è importante continuare a proporlo oggi?
Il partecipante ideale non esiste. Tutti noi siamo buoni candidati! Ma pensando alla comunità, il partecipante più importante sarebbe sicuramente lo studente e l’educatore! Quest’attività non è certo di facile organizzazione, è onerosa e richiede un impressionante numero di operatori e ore di lavoro. Ma credo fermamente sia essenziale per combattere l’odio e il pregiudizio dilaganti che spopolano ogni giorno di più come fossero una moda.
Il nostro compito è far cambiare mentalità, far comprendere le motivazioni alla base del fenomeno migratorio, ricreare esperienze simili o comunque riconducibili ai ricordi delle persone migranti!
Quest’attività deve essere riproposta perché, cambiando mentalità, promuoviamo l’inclusione sociale, diffondendo principi e valori indispensabili all’umanità tutta, proteggendo le persone migranti ma anche la nostra comunità, facilitando l’avvento di un futuro propositivo, collaborativo e forte! (fc, lp)