Migranti per ventiquattro ore
(pubblicato sul numero sedici di “Ti scrivo”)
Youth on the Run, il gioco di ruolo collaborativo alla scoperta dei sogni e incubi di un rifugiato in fuga dalla Somalia verso l’Italia, rivolto alla fascia giovane della popolazione. Un’esperienza ai limiti della realtà, per aiutare a capire e rispettare le persone che sono dovute fuggire dal loro paese di origine a causa di persecuzioni o guerre.
Vi siete mai chiesti come sia la vita di una persona che scappa dal suo paese d’origine? Che emozioni provi? Quali siano le sue paure? Quali invece le sue speranze?
A trovare una risposta per tutte queste domande ci ha pensato Steen Cnops Rasmussen, un insegnante danese che negli anni ‘90 ha concepito “Youth on the Run”, un gioco di ruolo con lo scopo di contrastare e ridurre la paura dello straniero e il razzismo. Rasmussen, per la sua idea, ha ricevuto nel 2005 la più alta onorificenza della Croce rossa norvegese: il premio Torstein Dale.
Durante quella che è una vera e propria sfida della durata di ventiquattr’ore i partecipanti impersonano un migrante in fuga dalla Somalia e diretto in Italia. A ognuno di loro viene affidata un’identità fittizia che deve mantenere durante l’intero svolgimento dell’attività.
L’organizzazione è complessa e si compone di molteplici parti. Tutto inizia con gli incontri di preparazione, durante i quali si definiscono i vari passaggi del gioco e da cui emergono le figure degli istruttori e dei game leader. Sono tutti volontari appositamente formati, presenti sull’intero territorio italiano e che rendono, di fatto, possibile lo svolgimento stesso del gioco.
I primi, gli istruttori, interagiscono con i partecipanti per l’intera durata dell’esperienza e vanno a interpretare quei ruoli fondamentali per generare nella finzione il realismo necessario. Ci sono così violente guardie di confine, brutali trafficanti di essere umani, approfittatori senza scrupoli, operatori dei centri di accoglienza e impiegati comunali con i quali la comunicazione è difficile a causa di barriere linguistiche. L’immedesimazione deve essere completa, anche negli aspetti più sgradevoli e duri dell’esperienza migratoria. Non stupisce che il gioco sia molto intenso emotivamente e non di rado ci sia la necessità di appianare conflitti e problemi interpersonali che, se non risolti, potrebbero minare l’esperienza. Proprio per questo ci sono i game leader, volontari formati ad hoc che curano l’aspetto relazionale, onde evitare si ripresentino situazioni analoghe a quelle dell’esperimento carcerario di Zimbardo del 1971: il celebre studio, in cui alcuni volontari erano divisi in guardie e carcerieri, ha portato a risultati talmente drammatici da costringere gli organizzatori a interromperlo.
Oltre alle due figure descritte prima, ne esiste una terza, che spesso non lavora sul campo ma tiene le fila dell’attività. È il referente “Youth on the Run”. Molto spesso svolto da un ex-partecipante, ha il compito di portare il territorio a conoscenza del gioco, dei suoi scopi e obiettivi. Spesso coincide con il responsabile della diffusione dei principi e valori umanitari, ambito nel quale l’attività trova la propria collocazione. Questa figura mantiene anche i contatti con i dirigenti nazionali, che, grazie alle riposte della cittadinanza, possono migliorare l’attività stessa. Al gioco non sono estranei i giovani che, anzi, generalmente, costituiscono la maggioranza degli istruttori e dei game leader e ne sono il bacino di utenza naturale.
“Youth on the Run” si presenta così come un’esperienza profonda e toccante, capace di far riflettere sui valori della tolleranza e dell’integrazione contrapposti al razzismo e alla discriminazione. Un’esperienza degna di essere vissuta almeno una volta. (ml, lz)
(continua…)