Vi portiamo a Ginevra
(pubblicato sul numero sedici di “Ti scrivo”)
Su queste stesse pagine, poco più di un anno fa, vi raccontammo l’appassionata esperienza di un nostro volontario catapultato nella casa del Cicr, il Comitato internazionale della Croce rossa, cuore pulsante della nostra associazione. Oggi abbiamo deciso di portarvene uno spaccato (più o meno esaustivo), attraverso le nostre pagine.
Incastonato nella metropoli delle mille organizzazioni non governative, non lontano dalle sponde del lago Lemano, dirimpetto il palazzo delle Nazioni unite (che dire, bel quartiere!), il Comitato internazionale di Croce rossa si staglia su di un promontorio. Dietro di esso, il museo, nostra meta. Nel piazzale antistante l’ingresso sovrastano la testa del visitatore due grandi stendardi raffiguranti i due emblemi della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, ma la presenza che più impressiona (e inquieta) è quella di un gruppo scultoreo, posto in un angolo. Alcune persone, in piedi, le mani dietro la schiena, il corpo coperto da un sacco, il colore grigio porfido.
L’esposizione permanente è organizzata in tre aree tematiche, che rispecchiano le sfide quotidiane dell’associazione. Per questo, nella sala principale ci troviamo in un ambiente eterogeneo, caratterizzato da materiali costruttivi diversi, ciascuno corrispondente all’ingresso di un padiglione del museo. Tre materiali, tre padiglioni, tre architetti da tre continenti diversi per affrontare tre argomenti che avvicinano tutto il pianeta nella stessa grande avventura, l’Avventura umanitaria, titolo dell’esposizione.
Uno dei più preziosi e impressionanti cimeli qui custoditi è la grandissima raccolta di schede riguardanti i prigionieri del primo conflitto mondiale. Nelle settimane successive agli avvenimenti di Sarajevo venne infatti costituito a Ginevra un ufficio che avrebbe dovuto svolgere un compito eccezionale: ristabilire i collegamenti familiari interrotti bruscamente dalla guerra. Sei milioni di schede permisero all’epoca di rimettere in contatto circa due milioni di persone e costituiscono oggi questo patrimonio della memoria dell’umanità. Fu quest’evento a dare vita a un servizio chiamato “Ripristino dei collegamenti familiari” (da cui prende nome il padiglione), di cui non si poté più fare a meno.
Entriamo nella seconda area. Nel passare, salutiamo Henry Dunant, folle ideatore della Croce rossa, ma con un cenno, facendo attenzione a non disturbarlo: sta scrivendo il suo “Ricordo di Solferino”, il libro da cui tutto ebbe inizio. Un grande piede troneggia al centro della stanza, calpestando una sequenza di immagini di sofferenza, ricordandoci l’importanza della difesa della dignità umana, alla quale il padiglione è dedicato. Tutt’intorno, sulle pareti, i nomi di trattati di alleanza e non aggressione che nella storia hanno garantito la pace tra due o tre potenze. In una vetrina, un vecchio libro. Per fugare ogni dubbio, un’occhiata veloce alla didascalia: è proprio lei, la Prima convenzione di Ginevra! L’allestimento non deve essere frainteso: questa non è una tra le tante convenzioni, ma la prima ad aver concretamente legato più di un pugno di nazioni, tracciando la strada di quello che sarebbe diventato il diritto internazionale umanitario.
Di tempo dalla prima convenzione ne è passato e la Croce rossa ha così ampliato il suo raggio d’azione, assumendo un ruolo chiave anche nella gestione delle emergenze. Riduzione del rischio naturale, è questo il titolo dell’ultimo padiglione, nel quale ci si trova immersi in un ambiente inconsueto. La progettazione di questo è stata infatti assegnata a un architetto giapponese, specializzato in strutture antisismiche, il quale ha adottato il cartone quale materiale costruttivo.
Ancora storditi da questo viaggio in un mondo così vasto che si è fatto tanto piccolo, stringendosi a nostra misura e dispiegandosi nei suoi chiaroscuri, ci avviciniamo all’uscita, lentamente. All’ingresso incontriamo nuovamente quelle statue. Il loro silenzio, la gravità della loro figura e della loro fissità (caratteristiche insolite per una statua) ci colpiscono.
Chi sono? Sono forse le vittime di tutte le guerre; sono le vittime del colonialismo, delle stragi etniche, delle deportazioni. Sono forse tutte quelle persone silenti e impotenti che, dal 1864 a oggi, possono avvalersi di questa grande macchina che, non potendo porre fine alla follia umana, si premura di restituire loro una voce e di ascoltarli. (gb)