Una serata tra uomini
(pubblicato sul numero dodici di “Ti scrivo”)
Inizia in questo numero una serie di racconti che abbiano come tema i sette principi su cui si basa la nostra associazione, proclamati ufficialmente nell’ottobre 1965 a Vienna, durante la XX Conferenza Internazionale della Croce rossa.
Il percorso che ha portato alla loro approvazione è stato abbastanza lungo, come avviene per l’individuazione di valori che tendono ad essere immutabili nel tempo. Il fautore principale di questo lavoro è stato Jean Pictet, professore di diritto all’università di Ginevra, nonché partecipe dei lavori per la stesura delle Convenzioni di Ginevra del 1977. Egli scrive, nel suo testo del 1962, “è necessario che la Croce Rossa possieda una dottrina ben definita e […] permanente. È l’espressione di una saggezza a lunga scadenza, indifferente al flusso e riflusso delle opinioni di moda e delle ideologie del momento. Essa sopravvive a coloro che l’hanno suscitata, e questo carattere duraturo è forse un segno della sua superiorità su tutto ciò che avviene.”
I principi dell’associazione costituiscono l’etica del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e stanno alla base delle azioni del Movimento stesso e di tutti i suoi appartenenti. (ps)
Sono a quasi un centinaio di metri, ma già lo vedo: è Marco. Abbiamo un appuntamento questa sera. Una settimana fa gli ho promesso che oggi sarei tornato, e so che anche se fingerà che non gli importi un granché in realtà sarà felice di vedermi. Mi sistemo meglio la sciarpa e guardo il cielo. Sono sempre più convinto che stanotte nevicherà.
Ora riesco a distinguere i tratti del suo viso e vedo che anche lui mi sta guardando (sarebbe stato difficile non notarmi con la divisa addosso): ha un mezzo sorriso stampato in volto e solleva una mano, una specie di saluto. In un attimo sono da lui e gli passo una mano su una spalla. Lui mi stringe l’avambraccio, ha la mano nuda. «Niente guanti Marco?» gli chiedo. Mi indica uno zaino logoro: «Sono nello zaino, li metto solo quando fa freddo». Scuoto il capo e appoggio anche il mio zaino accanto al suo, poi lui mi fa un po’ di spazio sul cartone su cui è seduto e mi accomodo: «Che dici, un tè ti va o è troppo caldo?». Sorride di nuovo, mettendo in mostra una dentatura tutt’altro che perfetta: «Hai portato anche i biscotti?». Apro lo zaino e tiro fuori il thermos, una confezione di biscotti (i suoi preferiti) e un contenitore di plastica. «Per forza che te li ho portati! Te li avevo promessi!». Poi indica il contenitore: «E lì cos’hai?». Apro il contenitore e lo vedo sbirciare. «Due fette di torta fatta da mia moglie, è alle mele, spero ti piaccia!», gli dico porgendo un piatto con una fetta di torta e una forchetta. «È la mia preferita, lo sai bene» replica. Lo lascio parlare mentre verso un po’ di tè caldo in due bicchieri di plastica. Prosegue: «Anche mia moglie me la faceva sempre». So che è stato sposato, ma quando la moglie è morta ha iniziato a bere, ha perso il lavoro e si è lasciato andare. «Era anche la preferita di mio figlio!». Lo guardo mangiarsene un bel boccone: «Non mi hai mai detto di avere un figlio!». Beve un sorso di tè caldo e mi guarda con il classico mezzo sorriso: «E tu non mi hai mai detto che tua moglie è così brava a cucinare!». Sorrido anch’io, ho capito, non vuole parlare di suo figlio. Ormai lo conosco e so che l’unica cosa che posso fare è lasciarlo fare con i suoi tempi. Vado avanti a mangiare la mia fetta di torta mentre lui si versa un altro bicchiere di tè. «Era proprio buona!», conclude soddisfatto. Lo guardo bevendo un altro sorso: «La prossima volta che ne fa una te ne porto di nuovo una fetta!». Lui si allunga un po’ e prende qualcosa dal suo zaino, è un pacchetto di carte: «Ti va una partita?». Annuisco. «Sicuro che tua moglie non voglia che torni a casa da lei?». Sorrido: «Mescola quelle carte, dai! Mia moglie stasera sa che sono fuori con un amico per una serata tra uomini». Sembra inorgorglirsi per la risposta e inizia a mescolare le carte mentre io finisco il mio tè. «Al meglio delle cinque come sempre?». Annuisco: «Però stavolta cerca di darmi delle carte decenti!». Distribuisce le carte e per una mezz’ora buona non dice praticamente nulla, si concentra sulle sue carte e non solleva nemmeno lo sguardo. Quando chiude anche l’ultima partita si concede un sorriso: «Non è che adesso non torni più a giocare con me?». È la stessa cosa che mi chiede sempre il mio nipotino quando vince a qualche gioco: «Eh no, io voglio la rivincita!». Sembra soddisfatto. Gli verso un altro bicchiere di tè caldo e poi rimetto il thermos nello zaino. «Va bene, lunedì alla solita ora». Prendo la coperta che ho preparato per lui, ma lo vedo accoccolarsi nel suo sacco a pelo logoro: «So che hai il tuo sacco a pelo, ma sta iniziando a diventare freddo». Mi alzo in piedi e mi avvicino, lui non sembra intenzionato a muoversi, quindi lo prendo come un via libera. Distendo la coperta e gliela appoggio sul corpo. Lui chiude gli occhi: «Buona notte Marco!», poi riapre gli occhi: «Alla prossima settimana!». (sc)