Buonanotte fiorellino
(pubblicato sul numero nove di “Ti scrivo”)
Entrano nello spogliatoio, svestono i panni civili con cui vivono la loro giornata-tipo e indossano la divisa d’ordinanza per la loro missione, rigorosamente in incognito. Non stiamo parlando di Clark Kent che veste i panni di Superman, bensì degli operatori del sorriso della Croce Rossa Italiana, per gli amici i “clown”. Così Claudio diventa Bradipo, Serena diventa Luce, Adriano diventa Cerottino e Federica diventa Fiamma. E se la loro non è una divisa attillata all’ultima moda, ma un nasino rosso accompagnato da un camice appariscente, le loro azioni non sono da meno di quelle dei supereroi dei fumetti.
Ma ora fate silenzio, nella piccola stanza del quinto piano dell’ospedale Santa Chiara di Trento,dove un ragazzo di 12 anni è appena stato ricoverato per un incidente in bicicletta, sta entrando qualcuno di soppiatto. Il losco figuro è Bradipo (non chiamatelo Claudio, eh!) che con un abile movimento delle mani – o forse con una vera magia – riesce a far sparire una pallina di gommapiuma. Il ragazzo è un titubante, vorrebbe sorridere ma sa che potrebbe fargli un po’ male perché durante l’incidente ha colpito il duro asfalto con il mento. Tuttavia dopo pochi secondi l’istinto prende il sopravvento e un sorriso a trentadue denti (o forse qualcuno di meno) compare sul suo volto, seguito subito da una smorfia di sofferenza. Anche i genitori sorridono della scena e si intrattengono con gli altri clown per raccontare la disavventura appena vissuta dal proprio figlio: a volte i genitori hanno bisogno più dei figli, e parlare è una medicina che ha del miracoloso.
Nel frattempo… un attimo… cosa sta succedendo là sotto? Luce e Fiamma, insieme a un clown meno colorato degli altri che si guarda intorno con aria circospetta, stanno leggendo un grande libro contenente un racconto che parla di cacca e pipì. Intorno a loro, alcuni bambini ridono a squarciagola. D’altra parte, come si fa a non ridere quando si parla di temi così… interessanti?
Trascorrono pochi minuti e compare un altro libro. Ehi, ma è magico: a prima vista sembrerà vuoto, pieno solo di pagine bianche, ma grazie a un colpo di bacchetta magica si trasforma in un coloratissimo volume pieno di figure pazze e divertenti. Giù altre risate. Vi chiederete dove stia avvenendo tutto ciò: una festa di compleanno? una crociera intorno al mondo? Neanche per idea!
Siamo nel pronto soccorso pediatrico, sempre al Santa Chiara, qualche piano più sotto; tuttavia i giovani ospiti che lo popolano, insieme ai loro accompagnatori più grandicelli, sono appena riusciti a dimenticarsene per qualche minuto. E gli operatori del sorriso continueranno a far finta di nulla per non rompere l’incantesimo.
Ormai sono le otto e mezza di sera, e sull’ospedale la sera sta calando. Non solo quella, si direbbe guardando le palpebre dei suoi ospiti più giovani. E quei buffi signori col naso rosso, forse, hanno dato il loro piccolo contributo affinché questa notte sia un po’ più serena. Così, quatti quatti come sono arrivati, si allontanano dai reparti per togliersi il camice e tornare alla loro quotidianità.
Nell’uscire, uno di loro si sofferma a parlare con un’anziana signora che sta aspettando con ansia il marito, anch’egli anziano. È appena stato ricoverato al pronto soccorso, sembra per qualcosa di grave. L’operatore del sorriso allora si “riveste” del suo ruolo, un po’ diverso nella forma ma uguale nella sostanza, per scambiare qualche parola con la donna: la sofferenza non ha età, così
come il sollievo, seppur lieve, di poterne parlare con qualcuno.
A fare da conclusione alla giornata c’è ancora un momento, molto importante, che non riguarda più Luce, Fiamma o Cerottino, bensì Serena, Federica e Adriano. Se da una parte è divertente giocare con la doppia identità, è purtroppo vero che è l’essere umano che ci sta sotto a portarsi a casa l’esperienza vissuta: che sia il sorriso sofferto di un bambino che è caduto in bicicletta e che domani potrà nuovamente salirci, oppure la risata inconsapevole di un giovane essere umano colpito da un destino ingiusto che nel prossimo futuro non vedrà mura diverse da quelle dell’ospedale. È il momento della condivisione, in cui a turno gli operatori possono buttare fuori quello che hanno vissuto durante l’attività. Come già detto, parlare dà sollievo, qualsiasi sia
l’angoscia che si sta vivendo.
Poi ci si saluta con un abbraccio e si torna a casa, stanchi dentro e fuori, ma consapevoli che il tempo speso con quei bambini non è stato sprecato. Parafrasando il Talmud, “chi salva un bambino, salva il mondo intero”. Proprio come i (veri) supereroi! (apa)