“I am a winner”, una giornata con i migranti
(pubblicato sul numero sette di “Ti scrivo”)
La giornata dei migranti che vivono nel centro di prima accoglienza Residenza Fersina inizia con la colazione, seguita a stretto giro dalla firma sul foglio presenze. Ognuno è tenuto a farlo, anche perché contestualmente vengono consegnati i ticket per il pranzo e la cena. Sanno perfettamente che senza questi ultimi non mangiano e conoscono anche troppo bene i morsi della fame. Oggi è un giorno particolare perché solita routine viene integrata dalla consegna di una borraccia bianca al posto della consueta bottiglia da 1.5 l d’acqua. “È per ridurre i rifiuti” spiega a tutti il dipendente del Cinformi. Ogni volta che vogliono, i residenti possono riempirla. La condizione è una e molto semplice: non perderla. Per quanto elementare questa informazione richiede grande tempo per essere illustrata a tutti. Infatti le lingue parlate sono diverse, per lo più francese, ma non manca l’inglese. Più raro è l’arabo, per fortuna nostra e dei migranti. In queste difficili occasioni ci viene in aiuto la piattaforma “www.virtualvolunteer.org”, di recente costruzione.
Nella grande moltitudine di persone che devono firmare mi colpisce un particolare. Un ragazzo, che non avrà avuto più di venticinque anni, si avvicina al bancone dove ci sono i registri, al collo ha una corda nera, logorata dal tempo e dall’attrito; probabilmente anche la salsedine ci ha messo del suo. Quando si china per appoggiare la penna al foglio, fuoriesce il pendaglio, un quadrato di plastica con i colori del Regno unito. Molto semplice, quasi spartano. Sul pendaglio una scritta gialla. “I’m a winner”, sono un vincente. Ne sono folgorato. Non riesco a staccarne gli occhi. “I’m a winner”, mi risuona nella mente. È una frase banale, che passerebbe inosservata se detta in un altro contesto. Ma lì no. Lui davvero è un “winner”, un vincente, è riuscito ad arrivare fino a Trento, ha compiuto il suo viaggio e se non ha raggiunto la meta poco ci manca. Il pensiero non può che andare a quelli che non ce l’hanno fatta o ne portano ancora segni ben più visibili. A chi si muove con le stampelle perché storpio, a chi porta cicatrici, a chi viene ricoverato in ospedale per una ferita d’arma da fuoco vecchia di anni e mai curata, a chi ancora nella notte urla, perseguitato dagli incubi. Quando esco dai miei pensieri il pendaglio non c’è. Il ragazzo è andato via, e con lui la sua storia e quella del pendaglio. Chissà cosa avrebbe potuto raccontarci.
Un altro signore deve porre la sua firma, non si può continuare a pensare. La storia della collana e del suo proprietario viene fagocitata nel marasma di quelle appartenenti alle altre cento e più persone in attesa di porre una firma e ricevere una borraccia bianca. (lpi)