Questione di sguardi
(pubblicato sul numero sei di “Ti scrivo”)
Ognuno di noi quando ha deciso di entrare in Croce rossa l’ha fatto per un motivo, pensando ad una o più attività che avrebbe voluto fare. La maggior parte ha poi conosciuto lati nuovi di questo mondo e oggi si ritrova a coinvolto (anche) in aree di cui magari non conosceva neanche l’esistenza, oppure che semplicemente non pensava di poter fare.
Così è questa la prima cosa che chiedo a G. quando la incontro:
Ma quando abbiamo iniziato il corso base qualche mese fa avresti mai pensato che ti saresti trovata a passare giornate alle Viote o nottate al Fersina ad accogliere migranti?
In realtà sì, è uno dei motivi per cui ho deciso di entrare in Croce rossa.
E com’è? Raccontami…
Fino all’altro giorno avevo fatto qualche turno alle Viote e una seconda accoglienza. Si trattava perlopiù di migranti che sono qui già da qualche tempo, che spesso parlano un po’ di italiano e che conoscono già il programma nel quale sono inseriti. La seconda accoglienza era un ricollocamento in strutture più piccole…
E l’altro giorno?
L’altro giorno mi è arrivata una telefonata: cercavano volontari per una prima accoglienza notturna. In pratica stava arrivando un gruppo di migranti (tra cui donne con bambini) in pullman direttamente dal porto dove erano sbarcati poche ore prima. Ho dato subito la mia disponibilità e poche ore dopo ero pronta… Ecco, forse proprio pronta no! C’erano in realtà diverse cose che non mi aspettavo. Ad esempio praticamente tutte le persone che sono arrivate erano francofone e tra di noi di Croce Rossa nessuno parlava francese! Per fortuna uno degli operatori del Fersina ci ha aiutato a comunicare con loro! E poi i bambini… sapevamo che sarebbero arrivati diversi bambini, ma alcuni erano davvero così piccoli…
(Ha gli occhi che brillano)
Non hai idea di come erano quei bambini! Non ci capivamo per niente, erano le due di notte, venivano da non so quante ore di pullman precedute da non so quanti giorni di viaggio in condizioni che non riesco nemmeno ad immaginare, eppure i più grandicelli avevano ancora la forza di giocare a nascondersi e provare a spaventarci spuntando da dietro una porta o da dietro le gambe della madre.
E anche le donne: erano giovani, più che altro tra i venti e i venticinque anni, ma avevano lo sguardo di chi della vita ha già conosciuto tanto, forse troppo.
Come prima cosa quando sono arrivate abbiamo controllato i documenti e le abbiamo dovute smistare tra Trento e Bolzano. Quelle che hanno dovuto proseguire il viaggio non hanno fiatato, erano in autobus già da una quantità indicibile di ore, ma non si sono lamentate per nulla, hanno solo chiesto di poter utilizzare un bagno e poi sono ripartite alla volta dell’Alto Adige.
E quelle che sono rimaste?
Erano quasi tutte accompagnate dai loro bambini. Al loro sbarco in Italia tutti i migranti vengono sottoposti a controlli medici e non vengono reindirizzati verso le loro varie destinazioni se non sono in buono stato di salute, ma essendo presenti tanti bambini con noi c’era un’infermiera pediatrica che li ha ricontrollati. Sulle facce delle madri leggevi nient’altro che sollievo quando prendevamo in braccio i loro bambini e l’infermiera comunicava loro che stavano bene. Erano stanchissime, ma in un certo senso è come se si fossero rilassate quando si sono rese conto che i bimbi erano al sicuro.
E un’altra cosa che ho notato è che erano tutte incredibilmente solidali tra loro. Provenivano da varie nazioni, alcune anche molto lontane tra loro, non erano arrivate in Italia insieme, si sono ritrovate solo per caso a condividere un viaggio in pullman, eppure si sostenevano tutte. Una donna, incinta, aveva della nausea e stava cercando di chiederci qualcosa da mangiare prima di poter andare a dormire. Immediatamente altre donne si sono fatte avanti e già pensavo che volessero chiederci anche loro da mangiare (purtroppo avrebbero dovuto aspettare la mattina successiva, come per avere dei vestiti puliti) e invece no, stavano tutte cercando di aiutarla a comunicare con noi e appena le abbiamo dato delle fette biscottate sono tutte tornate nelle loro stanze!
Erano ormai quasi le cinque di mattina quando, finite le docce e la suddivisione nelle varie stanze, sono potuti andare tutti a dormire e la sveglia ha suonato solo un paio di ore dopo per la colazione e per tutto quello che seguiva, ma davvero, se non fosse stato per la giornata di lavoro che mi aspettava, mi sarei fermata lì, perché glielo leggevi negli occhi che avevano così tante cose da raccontare…
Quindi è un’esperienza che pensi di rifare?
Se capiterà di nuovo sì, senza dubbio… perché quello che ho ricevuto in quella notte da sguardi di persone con cui verbalmente non sono riuscita a comunicare praticamente nulla è valso ben più di una notte insonne! (sc)