Bussoleno e la ferrovia, un rapporto di amore e odio
(pubblicato sul numero sei di “Ti scrivo”)
Un viaggio nella località che ha ospitato l’esercitazione extra provinciale di quest’anno #ValSusa2017
La ricchezza del passato, le tensioni del presente e l’incertezza del futuro, insomma, il destino di Bussoleno, sono strettamente legate alle sorti dei collegamenti ferroviari. Per questo piccolo centro della Val di Susa inferiore, che conta circa seimila abitanti, il benessere legato alla strada ferrata voluta dai Savoia è ormai solo un lontano ricordo. Negli anni ottanta Bussoleno era sede di un importante deposito ferroviario con annessa officina per grandi lavori di manutenzione che occupava circa seicento operai specializzati, per lo più provenienti da fuori zona, quindi con un potente indotto nell’economia locale. Quell’attività si è andata poi gradualmente ridimensionando fino alla totale chiusura. Ora, a ricordo di quell’epoca, rimangono solo le vecchie strutture riadattate a “Museo del trasporto ferroviario attraverso le Alpi”, con una ricca esposizione di materiale rotabile, peccato che il “Feralp” sia aperto solo pochi giorni all’anno quindi assolutamente sottoutilizzato, se non dimenticato. Resiste invece la vecchia stazione, che vede passare i locali Torino–Val di Susa-Frejus e che presto verrà ristrutturata.
Oggi a Bussoleno parlare di ferrovia significa opporsi all’alta velocità. La cittadina, infatti, è diventata il centro di riferimento della lotta No Tav, lo testimoniano le bandiere che sventolano in pubblico senza soluzione di continuità. Opposizione ambientalistica o timore che l’alta velocità bypassi la valle riducendo ancora di più i già pochi scambi commerciali? L’una e l’altra, come riferisce l’amico barista che diffonde in tutta l’area del campo l’aroma del caffè tostato al momento. “Gli abitanti della valle, salvo chi pensa di poter di godere benefici personali durante la costruzione, sono tutti, esplicitamente o in cuor loro, assolutamente contrari – spiega – d’altra parte l’opera dovrebbe essere completata nel giro di dieci anni, poi, a cantiere chiuso, ci resterebbe solo lo scempio ambientale”. “Il tracciato non corre interamente sotto la montagna, alcuni tratti devono svilupparsi necessariamente a cielo aperto – aggiunge – e in una valle che è larga al massimo tre chilometri, percorsa da due strade statali, da una ferrovia e dalla Dora, le fasce di rispetto dell’alta velocità avrebbero un micidiale impatto ambientale”. “Questa Taav dovrebbe essere solo per il trasporto merci, quindi non ci toglierebbe e non ci porterebbe nemmeno un ospite di passaggio – conclude – quello che ci preoccupa, invece, è che un acqua minerale imbottigliata in centro Italia raggiunga parigi per essere poi venduta qui da noi, uccidendo la produzione e il commercio a chilometri zero”. (gip)