Un mini-racconto della prima esperienza in ambulanza
(pubblicato sul numero cinque di “Ti scrivo”)
“Due-due-cinque-tre-tre vi recate in giallo a … per difficoltà di linguaggio” gracchia la radio dell’ambulanza. Non siamo neanche rientrati in sede che siamo di nuovo in viaggio. “Lorenzo, cosa potrebbe avere il paziente?” chiede il leader dell’equipaggio. La sua voce si sente a stento nel vano sanitario, anche se mi sta guardando “La difficoltà nel parlare potrebbe essere causata da problemi cerebrali, come un ictus.” rispondo. “Come posso dire se sia un ictus?” prosegue. “Utilizzo la Scala Cincinnati, quindi la faccio parlare, osservo se il volto presenti smorfie e valuto la forza negli arti. Ad esempio chiedo al paziente di portare le braccia in orizzontale e mantenere la posizione” “Bene. Cosa altro può essere?” m’incalza. Altro? Non riesco a trovare niente di specifico, oltre a traumi, ma la Centrale non ne ha parlato. “Potrebbe essere un TIA.” Certo, un TIA. Attacco ischemico transitorio. I sintomi sono gli stessi, ma si risolve naturalmente.
Queste poche battute bastano per allentare la morsa della tensione e per riempire il viaggio. Appena scesi ho pregato di non dover usare il lettino, le scale strette erano poco invitanti. Zaino in spalla e senza neanche rendermene conto ero arrivato in casa dell’infortunata. Una signora di una certa età ci aspettava seduta su una sedia, tremava e faceva fatica a parlare. Di fianco, una donna di una certa età ci ha dato un quadro della situazione. Non positivo, ma neanche tragico; confuso, più che altro. Con grande professionalità, gli altri due volontari dell’equipaggio (il leader, che coordina l’intervento, e l’autista, che guida l’ambulanza) hanno gestito altri due parenti arrivati nel frattempo e da loro hanno ricavato un’anamnesi più completa, scoprendo così che la signora era cardiopatica e diabetica.
Nel frattempo i brividi erano aumentati. L’espressione “rischio evolutivo” mi è aleggiata in mente. Presi tutti i parametri del caso, glicemia compresa grazie alla collaborazione del parentado, e sentita la centrale operativa si è deciso di ricoverare in ospedale quanto prima. Visto il caso, il leader ha deciso di utilizzare la cardiopatica (una specie di sedia a rotelle di cui è dotata l’ambulanza) per il trasporto fino al mezzo, lasciandomi con i parenti per qualche minuto. Sono stati i minuti più imbarazzanti della mia vita, anche se sono riuscito a recuperare qualche informazione aggiuntiva.
Quando i portelloni dell’ambulanza si sono chiusi e siamo filati in direzione del pronto soccorso, mi è sembrato che la centrale ci avesse chiamato da appena qualche minuto. Controllando l’ora ho realizzato che in realtà era passato molto più tempo. Il trasporto è stato rapido e, durante tutto il tragitto, il leader ha parlato con la paziente per accertarsi delle condizioni e dei sintomi, oltre che per intrattenerla e tranquillizzarla. Non pensavo che anche poche parole potessero avere un valore così importante.
Dopo essere giunti alla meta, dove i familiari ci stavano aspettando, abbiamo effettuato l’accettazione in pronto soccorso; mentre stavamo uscendo pronti per il debriefing e un successivo nuovo intervento, la signora non più così giovane si è avvicinata e ha ci stretto la mano, ringraziandoci. Non ho mai percepito così tanta gratitudine in un gesto. E ho capito che il lavoro necessario per arrivare in ambulanza vale la candela, eccome se la vale. (lpi)