Dove nasce l’arcobaleno, una riflessione
Dopo il successo dello spettacolo “Dove nasce l’arcobaleno” dei genitori-attori (ne abbiamo parlato in passato), pubblichiamo volentieri una riflessione inviataci da Leonardo Pelz, uno degli attori della compagnia.
Soddisfazione, felicità, certezza di avere fatto la cosa giusta. Ma anche tristezza, difficoltà, pure le lacrime, alle volte.
Eccitazione, trepidazione, voglia di spaccare il mondo… ma allo stesso tempo desolazione, stanchezza e tante, tantissime ore di sonno perse.
Sono tante le immagini che ancora ci affollano la mente, sono tantissime le sensazioni che fanno fatica ad andar via.
È difficile, per me, descrivere il turbinio di emozioni che ha accompagnato noi genitori della Scuola Materna di Lavis durante tutto il percorso di progettazione, scrittura, realizzazione costumi e sceneggiatura e infine prove per lo spettacolo “Dove Nasce l’Arcobaleno”, andato in scena il 24 febbraio per i bimbi della Scuola Materna, e il 4 marzo (in doppia replica) per tutta la popolazione, con incasso devoluto in beneficenza. È difficile perché la sensazione più bella, quella di aver fatto qualcosa di piacevole ma che allo stesso tempo ha portato del bene anche a chi è meno fortunato di noi, è ancora tanto, tantissimo presente e prevale su qualsiasi altra sensazione negativa che possiamo aver provato.
Portare del bene a chi sta peggio, quindi, e magari divertire pure noi ed i nostri bambini. Da qui è partito l’impegno di 14 genitori che, seguendo una tradizione ormai radicata per la Scuola Materna di Lavis (e, recentemente, pure in molte altre scuole trentine) hanno iniziato a trovarsi settimanalmente da ottobre per mettere in piedi la scenetta. In questi lunghi mesi non sono certo mancati i momenti divertenti, quando qualcosa andava talmente storto da risultare esilarante, così come i momenti soddisfacenti, quando usciva la battuta giusta al momento giusto o quando qualcuno aveva un colpo di genio (come il tormentone, ormai è diventato tale, “salta la cacca!”). Ma non sono mancati nemmeno i momenti “no”, quando il copione proprio non si voleva lasciar scrivere, o come quando certe sere fredde d’inverno magari si avrebbe preferito restare a casa al calduccio con la propria famiglia anziché trovarsi alle 20 (o pure prima), col riscaldamento rotto, a montare tutto l’impianto, scrivere, provare, smontare… e tornare a casa quando ormai la lancetta delle ore era più verso l’una che verso la mezzanotte. Però è in quei momenti che è uscito lo spirito di gruppo: bastavano due parole di conforto, un paio di “ce la faremo ragazzi, siamo una grande squadra”, il giusto ottimismo e, soprattutto, il nobile fine, ed ecco lo sprone per proseguire, il ritorno ad avere fiducia nel progetto e nella sua realizzazione.
E la fiducia, alla fine, è stata ripagata. Innanzi tutto dagli scroscianti applausi della gente, poi coi molti fondi raccolti che saranno devoluti, tramite la Croce Rossa di Lavis, ai bambini delle zone terremotate per la costruzione di un gazebo adibito a ludoteca.
È bello, infine, pensare che uno spettacolo così riuscito, così applaudito, così rimasto nella coscienza collettiva sia stato definito nella sua forma finale solo la sera precedente alla “prima”, con un paio di grossi cambiamenti. Segno che la storia stessa, che contiene – infatti – molti punti di improvvisazione, è un mutare continuo, un fiume che scorre… così come l’argomento che è alla base della stessa. La diversità, appunto. Lo vediamo tutti i giorni quanto il diverso sia spesso fonte di paura, di timore, di derisione, alle volte – purtroppo – pure di emarginazione.
Il messaggio (“non aver paura del diverso”) dal quale è nata l’estate scorsa l’idea del tema della recita deriva dalle bellissime parole di Stefano Marcoaldi, fondatore, nel 1985, dell’Asa-Associazione Solidarietà Aids, pronunciate nel 1993 davanti ad un pubblico di giovanissimi fans dei Queen, poche settimane prima di morire purtroppo proprio a causa di quella maledetta malattia:
Non abbiate paura della diversità. La diversità è ricchezza, è stimolo intellettuale, è metro della sicurezza di sé. Chi è sicuro di sé non ha paura della diversità degli altri.