Speciale migranti: il lungo percorso dalla disperazione all’integrazione
(pubblicato sul numero tre di “Ti scrivo”)
Immagina, è facile. Immagina Henry Dunant catapultato nel terzo millennio da una macchina del tempo. Con un balzo di quasi duecento anni, il fondatore della Croce Rossa si sarebbe trovato nel bel mezzo di un’altra battaglia, non più sulle spianate di Solferino tra i morti e i feriti della guerra franco-austriaca, ma nel bel mezzo del Canale di Sicilia tra i disperati in fuga da guerre e genocidi. Pur nella drammaticità della situazione, Dunant avrebbe potuto ammirare la pianta cresciuta da quel seme germogliato a Solferino a metà Ottocento: un esercito di volontari con una croce rossa appuntata sul petto, eredi dei principi enunciati dal padre fondatore, sempre in prima linea per portare aiuto agli ultimi, ai vulnerabili.
Eccoli lì, gli Henry Dunant del terzo millennio, sulle navi che pattugliano il Mediterraneo per portare soccorso sanitario ai migranti in pericolo. Eccoli in tanti, tantissimi a ogni sbarco pronti a donare aiuto e conforto a donne e bambini, uomini giovani e anziani, duramente provati da un viaggio tra mille insidie. E con loro tanta gente comune in un commovente slancio di solidarietà.
Eccoli, le volontarie e i volontari di Croce Rossa, nei centri d’accoglienza dove i migranti vengono destinati dopo lo sbarco e il primo censimento, luoghi dove poter trovare un po’ di pace e la voglia di tornare a vivere. Luoghi sparsi su tutto il territorio nazionale dove le amministrazioni locali sono chiamate a fare la loro parte proporzionalmente alla popolazione residente, che purtroppo non sempre accetta i nuovi arrivati.
Il cuore grande del Trentino si è aperto anche a loro, allestendo strutture di accoglienza dove la Croce Rossa fa la sua parte con impegno e dedizione, con le sue forze impegnate ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana per accompagnare gli ospiti nel lungo cammino verso la normalizzazione e l’integrazione. Un percorso difficile, da affrontare guardando occhi stranieri e parlando una lingua sconosciuta. Le cure e l’affetto dei nostri volontari non sono sufficienti però a cancellare dai loro volti quel velo di tristezza e, a volte, di paura. Ascoltando le loro drammatiche storie, se ne capisce il motivo.
È il caso di Ammar (nome di fantasia per garantirne l’anonimato, ndr) fuggito con la moglie dal suo paese centrafricano perché vittima di persecuzioni di carattere religioso. “Ecco il motivo” ci dice sollevando la manica della camicia. Sull’avambraccio ha tatuata una croce a testimonianza del suo credo cristiano, una croce che l’ha reso oggetto di crudeltà al punto di costringerlo a fuggire con la giovane moglie. Ma attraversare il Sahara con mezzi di fortuna non è stato sufficiente per sfuggire ai persecutori: giunto in terra libica, viene di nuovo preso di mira per via di quella croce tatuata sul braccio, e a farne le spese è una gamba spezzata in più parti. Il calvario prosegue con l’attraversata del Mediterraneo su un barcone malandato, un viaggio in condizioni impossibili che fortunatamente si conclude senza incidenti sulle coste siciliane da dove, dopo varie peripezie, approda in Trentino. Ammar è un bell’uomo, giovane e atletico; sua moglie deve essere stata bellissima, così almeno ce la racconta con un misto di tristezza e disperazione, perché lei lo ha abbandonato appena giunti nella nostra regione. I suoi sentimenti avevano iniziato a vacillare di fronte a quella gamba spezzata che non tornerà più come prima, ma il colpo di grazia è venuto dall’incontro con un uomo del posto che, invaghitosi di lei, l’ha convinta a fuggire. Ammar ora è solo e cerca di dimenticare il passato studiando per imparare un mestiere: gli piacerebbe fare il giardiniere.
Naadir è stato più fortunato: nessun pestaggio, nessun amore tradito, anche se la fuga dal suo paese è stata altrettanto rocambolesca. Apparteneva a una etnia minoritaria oggetto di crudeli persecuzioni, l’alternativa era combattere e morire o fuggire in cerca di un avvenire migliore. Naadir è un giovane colto, ha studiato e si è laureato in economia, ma il suo diploma di laurea, alle nostre latitudini, vale quanto la carta da macero. La fuga, l’attraversamento del deserto verso le coste magrebine, la trattativa con gli scafisti per il salto verso la Sicilia, una storia simile a tante altre, drammatica come tante altre. E poi la fine dell’incubo, la generosa accoglienza della gente del Sud, l’incontro con quei ragazzi con una croce rossa sul cuore e una dignitosa sistemazione tra le nostre montagne. Naadir pensa positivo, ha rispolverato i libri di economia e punta a guadagnarsi una borsa di studio per poter accedere all’Università di Trento. A giudicare dall’impegno col quale insegue i suoi sogni, siamo certi che ce la farà.
Giulietta e Romeo, li chiamiamo così perché la loro storia è per certi versi molto simile a quella dei protagonisti della tragedia di William Shakespeare. Anche il loro è un paese in subbuglio, ma la guerra che hanno dovuto affrontare è stata quella tra le due famiglie. Lei ricca, di nobile casato, lui povero, di etnia e religione incompatibili con quella dei famigliari dell’amata. Il padre di lei cerca invano di separarli con le buone maniere, anche offrendo somme di denaro. Dopo l’ennesimo quanto inutile tentativo decide di passare alle maniere forti e la vita del giovane corre un serio pericolo. I due ragazzi decidono di fuggire e ci riescono anche grazie ad uno zio di lei che aiuta la coppia ad eludere gli stretti controlli. Hanno qualche soldo in tasca ma il gruzzoletto va a finire nelle tasche di chi accetta di trasportarli fino al confine italiano: quando viaggi senza visti sul passaporto non puoi salire su un volo low cost. Che ne sarà di loro? Sono in attesa di poter vedere regolarizzata la loro posizione, il sogno è quello di trovare un lavoro e di mettere su casa per poter raggiungere quella tranquillità che è stata negata nel loro paese, dove un giorno, forse, potranno fare ritorno. (robi)